Parossismo

Parossismo
(Parte prima: dal macellaio)

Entro dal macellaio, meno male, poca gente che aspetta.
Davanti a me c’e’ un signore alto, appesantito, quanto me ma di costituzione robusta, a occhio e croce 120kg di papa’ esausto che torna dal lavoro. Tocca a lui ad essere servito. Con buoni propositi, elenca la lista del fabbisogno di carne al macellaio. Esclusivamente carne di maiale, salsicce, braciole, coppa. Detta le quantità quasi a caso e per eccesso. Il macellaio, obbediente e apparentemente privo di qualsiasi punto di vista, carica la bilancia con il pressappochismo di chi sa che sicuramente le più sottili esigenze non vengono da quell’uomo.

Sto attento a ciò che sfila, e’ la fiera del grasso, a metro, al kilo, a metro cubo. Vedo in anticipo quell’unto friggere sulla griglia, cadere sulle braci e alzare la fiamma, zaffare fumo. Alla cassa affonda una mano in un pantalone che scopro essere una tuta da lavoro che spunta sotto il giaccone, ne estrae un fagotto di Euro stropicciati e paga. Fa tempo a dire amichevolmente “non battere lo scontrino” ma la cassiera e’ più veloce a concludere e non fa nemmeno cenno di aver capito. Ributta il resto nella tascona gigante e dato che si trova in quei posti si da’ una fugace ravanata ai gioielli. Esce, la busta di plastica, enorme e con i manici tesi quasi a spezzarsi, pare fare da contrappeso al passo largo e deciso di chi e’ in ritardo, “Chissà che ciurma che lo aspetta” penso. 
L’odore di limatura di ferro e olio meccanico si estingue rapidamente, tocca a me.

Il commesso macellaio e’ un ragazzo di 30 anni o poco piu’. Veste una divisa e un copricapo a norme. Voltando le spalle al banco in un angolo affila un coltello con fare discreto, pare sembrare in una fugace pausa prima di servire il prossimo cliente. Poi improvvisamente si gira e con un sorriso cortese che fino ad ora pareva tenere in tasca si rivolge a me con un “Eccomi, mi dica pure…”

Io ho solo un’idea. Una costata di manzo, leggermente marezzata e frollata davvero. Ma dal macellaio e’ un po’ come dal pescivendolo, mai andare con le idee troppo chiare, quello che vale la pena lo trovi la’. 
Il macellaio mi conosce un po’, io ostento intelletto, parlo italiano e lui si trasforma definitivamente da Mr Hyde a Dr Jekill.
Il macellaio mi apre il suo dry ager illuminato a bigiotteria, mi elenca le 4 pezzature come fossero gioielli. Ci penso, il viola va di moda in questo tipo di carne ma io non mi sono ancora sentito a mio agio con quel colore e decido per una Rubia Gallega di un rosso scarlatto leggermente rigata di bianco. “Ottima scelta” dice il macellaio soddisfatto, estrae il pezzo e comincia a parlarmi della bestia. Nel frattempo sgrassa cesellando con la punta del coltello la futura fetta e prende la mira per il taglio. Scambio qualche opinione sullo spessore e tra un grazie e un prego di troppo il macellaio affonda la lama. 
Al confronto della scena precedente sembriamo due checche fuori luogo, due radical chic della ciccia che giocano a fare gli uomini sprezzanti del sangue.
Il macellaio mi racconta della bestia come fosse stata una sua parente, una di quelle sempre in dieta regolare e particolarmente attenta a ciò che fa bene e a ciò che fa male. Una santa, una che ad un certo punto si e’ voltata indietro per vedere il suo trascorso di vita esemplare decidendo che tutto questo non poteva andare sprecato. Quindi ha ritenuto opportuno immolarsi per noi, offrendo al genere umano il suo corpo modello suddiviso in porzioni.

In tre minuti trasformiamo quel mondo di macello, tranci di carne, interiora di pollo, sangue e lame di coltello in una boutique di orchidee, riempiamo l’aria di opinioni e di precisazioni, un simposio del barbecue non visto da grill master ma piuttosto da filantropi aristocratici. La Rubia Gallega sarebbe stata perfino lieta di essere stata immolata per aver dato sfogo a delucidazioni ed elucubrazioni intellettuali di quel tipo. 

Ammiriamo la fetta stesa nel suo incarto come fosse una reliquia di un santo. Il macellaio mi fa le ultime raccomandazioni sulla cottura, avvolge sulla futura sindone la costata e la porge alla cassiera con due mani, come fosse qualcosa di pregiato che si tramanda ai posteri.

Chiudo la mia visita con l’ultimo sketch da finocchio incallito, pago con la carta di credito. Questo dalle mie parti e’ una cosa insopportabile, grave mancanza di rispetto per il lavoro degli altri e gesto estremamente snob che, oltre ad essere antipatico, esprime oltraggio verso le proprie profonde radici di lavoratore veneto.

La colonizzazione di ambienti insospettabili, come le macellerie, da parte di noi eclettici pali in culo in queste periferie venete e’ ancora agli inizi. Ma il veneto e’ una donna che si concede lentamente, molto lentamente.

Resettati senza pietà i consigli del macellaio procedo con il mio piano. Il Reverse Searing. Arrivato a casa, porto il forno a 50 gradi e inserisco quel kilo scarso di carne con un termometro infilzato al cuore come una spada. 
Chiedo appoggio alla tecnologia, “Alexa, imposta un timer a 2 ore” e vado a fare i cazzi miei.

Fine prima parte.